La palestra di Losone è destinata a militari e civili. Inizialmente il programma di concorso richiedeva la costruzione di una sala a tre campi, riservata alla sola attività sportiva della compagnia militare. Visto l’ampio spazio a disposizione, Vacchini ha pensato che la nuova costruzione potesse assumere carattere pubblico, ponendosi quale “elemento ordinatore del contesto urbano e punto di riferimento nel territorio”.
L’edificio ha carattere pubblico, ma non rivela, a prima vista, né la sua vocazione né tantomeno la sua funzione. Si erge come un blocco imponente e inaccessibile, su una piattaforma posta sopra un esteso spazio verde. Nessuna entrata è visibile al piano terreno. La densa cortina in beton che si ripete uguale sulle quattro facciate e la localizzazione nell’ambito del complesso militare della caserma inducono ad attribuire a questo manufatto insolito e apparentemente impenetrabile un significato difensivo e di massima protezione.
Il senso d’inaccessibilità permane anche nella fruizione pratica. Se non si appartiene alla compagnia militare si è trattati da estranei. I militari accompagnano il visitatore agli ingressi situati alle estremità delle rampe che scendono al sotterraneo.
Dai magazzini e dagli spogliatoi si sale nell’ampia sala rettangolare libera da tutti i locali di servizio, aperta sui quattro lati e non orientata.
La luce naturale penetra all’interno da aperture a tutta altezza che sono le massime consentite dalla statica. Tra l’interno e l’esterno soltanto una parete interamente vetrata, che non tocca la struttura circostante ma che piuttosto la precisa.
Il pavimento è il medesimo impiegato nella casa a Costa, di colore giallo cromo. Come il tetto dell’abitazione, anche la gigantesca soletta di copertura, che appare inscritta nella corona perimetrale dei pilastri, è percepita come una lama sospesa sul vasto spazio della palestra.
Come il soffitto lisciato dell’abitazione a Costa, i pannelli che chiudono a filo i cassettoni della soletta assumono il colore del pavimento e riflettono in modo velato il diaframma vetrato interno che pare elevarsi verso l’alto indefinitamente. Lo spazio è immerso nella luce naturale e assume un’aura quasi sacrale.
Il codice costruttivo regge la permeabilità alla luce. Come in una composizione musicale, la cadenza ritmica e costante dei pieni e dei vuoti si impossessa della luce e della varietà dell’intorno e crea situazioni sempre mutevoli: “l’immobilità, la ripetizione, il numero da un lato”, sottolinea Vacchini, “la mutevolezza e la non misurabilità della natura dall’altro, dialogano con effetti sorprendenti”.
Il sistema statico della sala polivalente di Losone è della massima elementarità ed è realizzabile solo in calcestruzzo armato. Solo in un secondo tempo, Vacchini ha capito che l’approccio strutturale è il medesimo di un dolmen: “una parete piena che porta una soletta piena, pietra che porta pietra”.
La struttura non direzionata è quindi concettualmente costituita da una “parete” portante di 70 cm di spessore e da una piastra precompressa di chiusura alta 140 cm. La proporzione planimetrica (1:1,8) permette di conservare l’effetto di portata bidirezionale proprio di una piastra e la luce di m 56,07×31,21 su 8 metri di altezza è stata così realizzata senza ricorrere ad una struttura a telai. I vuoti di 70 cm lungo tutto il perimetro della costruzione rappresentano i “risparmi” del muro.
L’edificio presenta un solo ordine e un solo tipo di apertura lungo tutto il perimetro, che è rastremato partendo -dal basso verso l’alto. Gli elementi di colonna misurano 43×70 cm alla base e 43×43 cm dove si concludono e sono stati eseguiti in un solo getto in altezza.
Le fessure della parete determinano il disegno della piastra che è stata alleggerita creando una soletta a cassettoni allo scopo di ottenere il giusto equilibrio tra carico e spessore. Vacchini non vole va che il tetto fosse caricato sui “pilastri”, che allora sarebbero stati tali, ma intendeva racchiuderlo nell’ordine unico della corona perimetrale, rinunciando sia allo zoccolo che al coronamento dell’edificio. Questa idea, tecnicamente irrealizzabile, è stata concretizzata rovesciandone l’impostazione strutturale, cioè assumendo la conclusione del pilastro come già parte della piastra. Ciò ha permesso la realizzazione di un solo giunto nel pilastro e la continuità della rastremazione della parete.
La soletta è dunque una piastra che staticamente è caricata sul muro di pilastri mentre concettualmente è contenuta fra di essi. Essa è stata eseguita in tre tappe di circa 31×18 m procedendo dapprima al getto delle travi, alla scasseratura delle parti verticali e successivamente al getto della soletta su elementi prefabbricati di chiusura del cassettone in calcestruzzo. La tesatura dei cavi di precompressione è stata eseguita nel senso trasversale per ogni fase di getto di soletta per permetterne la scasseratura. A getto ultimato e tesatura longitudinale avvenuta è stata riequilibrata la precompressione dei cavi precedentemente tesi nel senso trasversale.